La Storia

La nostra storia

la nostra scuola è dedicata a VALENTINO ORSOLINI CENCELLI. – Nacque a Magliano Sabina il 7 febbraio 1898, da Alberto dei conti Cencelli Perti e da Vittoria Orsolini Marescotti, entrambi appartenenti a famiglie di grandi proprietari terrieri e di uomini politici. Era l’ultimo di quattro figli (dopo Vladimiro, Ferdinando e Maria). Per non far estinguere il nome della casata materna, con regio decreto del 17 maggio 1906, Valentino fu «autorizzato ad aggiungere ed anteporre al proprio cognome quello di Orsolini e ad usare per l’avvenire in tutti gli atti ed in ogni circostanza il cognome Orsolini Cencelli» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, Consulta araldica).

Il nonno paterno, Giuseppe, era stato aiutante di campo di Massimo d’Azeglio e senatore del Regno dal 1879 al 1899, carica, quest’ultima, ricoperta anche dal padre dal 1909.

Studiò giurisprudenza, come il nonno e il padre e nel 1921 si laureò all’Università di Roma con una tesi sulla legge elettorale proporzionale. L’anno dopo sposò Giovanna dei conti di Arroni, dalla quale ebbe quattro figli: Eliana (1923-1991), Alberto (1926-1997), Maria Giacinta (1929-1940) e Stefano (1934). Nonostante la laurea, scelse di dedicarsi alla cura delle aziende agrarie di famiglia, a Fabrica di Roma e a Magliano, e in particolare al miglioramento delle razze bovine.

Aderì al movimento dei Fasci di combattimento fondato da Benito Mussolini a Milano nel 1919 e, benché nel 1914 avesse perso una gamba in un incidente, si distinse in Sabina e in Umbria, organizzando e guidando le azioni squadristiche contro le rivendicazioni contadine e operaie. Alle elezioni amministrative del 17 ottobre 1921 fu eletto consigliere provinciale dell’Umbria per il circondario di Rieti nel mandamento di Magliano, nelle liste del Partito nazionale fascista. Primo consigliere provinciale fascista d’Italia, nel 1922 partecipò alla marcia su Roma al comando della centuria degli squadristi della Sabina, avanguardia della colonna umbro-marchigiana comandata da Ulisse Igliori (D’Erme, I, 1996, pp. 83 s.). Alle elezioni del 1924 fu eletto deputato al Parlamento (XXVII legislatura) per la circoscrizione Lazio-Umbria e confermato nel 1929 e nel 1934. Nel 1939 fu nominato consigliere nazionale nella Camera dei fasci e delle corporazioni, partecipando attivamente alla vita politica e amministrativa.

Fu commissario governativo dell’Associazione nazionale famiglie dei caduti in guerra (1926-34), presidente dell’Ospedale oftalmico per i poveri della provincia di Roma (1927-29), presidente della Federazione degli enti autarchici della provincia di Rieti (1927-29), membro del consiglio di amministrazione dell’Istituto Luce (1930-35), commissario straordinario della Cassa di risparmio di Rieti (1936-40), membro del Consiglio nazionale dell’educazione, delle scienze e delle arti, presso il ministero dell’Educazione nazionale (1939-43). Ricoprì altre cariche, a carattere consultivo o direttivo, nel settore agrario: presidente della sezione agricolo-forestale del Consiglio provinciale dell’economia di Rieti (1927-43), promotore e primo presidente del Consorzio d’irrigazione della media valle del Tevere (1928-44), presidente della Cattedra ambulante di agricoltura di Rieti (1929-37), membro della Commissione per lo studio della carta della mezzadria italiana, costituita presso la Confederazione nazionale sindacati fascisti dell’agricoltura (1931).

Ebbe l’incarico più importante nel settore della bonifica con la nomina, il 15 settembre 1929, a commissario del governo all’Opera nazionale per i combattenti (ONC), ente sino ad allora guidato da Angelo Manaresi; lo mantenne fino al marzo 1935, quando – ripristinata la carica di presidente – questa fu affidata ad Araldo di Crollalanza, già ministro dei Lavori pubblici.

Ente pubblico a regime interno privatistico come l’Istituto nazionale delle assicurazioni dal quale era finanziato, l’ONC era stata costituita nel 1917 da Francesco Saverio Nitti, ministro del Tesoro, e dal suo collaboratore Alberto Beneduce. All’ente – uno strumento di intervento statale nell’economia, «un modo non semplicemente passivo per lo Stato di venire incontro ai contadini che dopo la guerra sarebbero tornati ai loro paesi in cerca di lavoro e di terra» (Monticone, 1961, p. 154) – era stato affidato il compito di provvedere all’assistenza economica, finanziaria, tecnica e morale dei combattenti reduci. Con l’avvento del fascismo subì profonde modifiche istituzionali: la riforma del 1923 attuò il ricambio dei vertici, modificò i regolamenti per l’ordinamento e le funzioni e pose l’ONC sotto il controllo totale del governo; poi, con la riforma del 1926, fu sciolto il consiglio di amministrazione (mai più ricostituito, neanche nell’Italia repubblicana) e sostituito da un consiglio consultivo; il presidente, designato dal capo del governo, acquisì tutti i poteri amministrativi e di rappresentanza; infine, con l’approvazione dei nuovi regolamenti fu trasformata in maniera radicale la finalità istituzionale.

Incaricata dell’attuazione della politica agraria fascista per la trasformazione fondiaria, l’ONC divenne protagonista dello sviluppo economico e sociale del paese. Grazie alle potenzialità tecnico-professionali e alla dotazione finanziaria poté realizzare il suo maggior compito istituzionale con il piano nazionale di bonifica integrale delle paludi pontine e ridisegnare la fisionomia di quel territorio. La politica agraria fascista, impersonata da Arrigo Serpieri, teorico della bonifica integrale, si richiamava al progetto tecnocratico di ispirazione nittiana che univa il carattere innovativo dei provvedimenti legislativi (legge sul latifondo del 1924 e leggi 1928-33 sulla bonifica integrale), all’immissione di capitali pubblici in agricoltura e alla direzione ‘tecnica’ della bonifica. Solo per l’area pontina furono approntati circa 200 progetti di bonifica su un territorio di circa 60.000 ettari, realizzando oltre 3000 poderi assegnati ad altrettante famiglie coloniche. Per stabilizzare i coloni nelle terre ‘redente’ e assicurare vita duratura e prosperità alle aree bonificate, furono realizzati non solo canali, strade, approvvigionamento di acqua potabile, fabbricati, ma anche 14 borgate rurali e cinque centri urbani (quattro comuni e un capoluogo di provincia).

Durante la gestione di Orsolini Cencelli l’ONC lavorò per «trasformare il bracciante da lavoratore avventizio a diretto coltivatore dei beni in concessione» (Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, f. 509.742), e sorsero le prime tre ‘città nuove’ dell’Agro Pontino, simboli dell’ideologia antiurbana del fascismo, non in contrapposizione alla campagna ma aperte a essa.

Littoria (dal 1945 Latina) fu annunciata dal duce il 7 aprile 1932 all’inizio dei lavori di dissodamento e inaugurata il 18 dicembre dello stesso anno; costituita in comune il 27 dicembre fu elevata a provincia due anni dopo, il 18 dicembre 1934. Orsolini Cencelli ne fu il primo podestà dal 7 novembre 1932 al 26 novembre 1933. La fondazione di Sabaudia fu annunciata durante il discorso per l’inaugurazione di Littoria: il 5 agosto 1933 ci fu la posa della prima pietra e il 15 aprile 1934 l’inaugurazione di Vittorio Emanuele III. Il 19 dicembre del 1934 fu fondata Pontinia: all’inaugurazione, avvenuta a distanza di un anno esatto, non partecipò Orsolini Cencelli, già uscito dai ruoli dell’ente, analogamente a Serpieri, destituito dal suo incarico di sottosegretario di Stato per l’applicazione delle leggi sulla bonifica integrale.

Escluso dalle cariche esecutive, ancorché sempre deputato (lo rimase fino all’agosto 1943) tornò a dedicarsi a tempo pieno all’azienda di famiglia. Con la caduta del fascismo e la costituzione della Repubblica sociale, fu arrestato con l’accusa di aver appoggiato il governo Badoglio (Roma, Archivio centrale dello Stato, Archivio Valentino Orsolini Cencelli, scatola 21, f. 166), e di aver organizzato una ‘guardia’ in Sabina al di fuori del Partito fascista repubblicano e subì due brevi periodi di detenzione nelle carceri romane di Regina Coeli (29 ottobre-2 novembre 1943) e di S. Gregorio al Celio (23 novembre - 4 dicembre 1943).

Per sfuggire ai repubblichini visse nella casa madre dei gesuiti fino alla liberazione di Roma, quando fu arrestato dalla polizia militare alleata l’8 luglio 1944 e ricondotto a Regina Coeli da dove il 12 luglio fu trasferito nel campo d’internamento alleato di Padula. Il 13 agosto 1944 la procura del Regno presso il Tribunale di Rieti iniziò in contumacia il procedimento penale nei suoi confronti per gli atti di violenza commessi negli anni 1921-22 e per aver costituito, dopo l’8 settembre, un corpo armato alle dipendenze dei tedeschi. Il 14 settembre 1944 il Tribunale provinciale straordinario di Genova della Repubblica sociale lo condannò a morte in contumacia.

Dopo un anno d’internamento a Padula, il 23 luglio 1945 fu condotto nel carcere giudiziario di Rieti dove rimase fino all’amnistia del 22 giugno 1946. Il procedimento presso il tribunale di Rieti fu riunito al processo pendente presso la sezione istruttoria di Roma il 20 marzo 1946. Il 12 novembre 1946 la Corte d’appello di Roma – nel procedimento penale per l’imputazione dei delitti di squadrismo e di collaborazionismo con i tedeschi invasori dopo l’8 settembre 1943 – lo dichiarò prosciolto dalle imputazioni; ugualmente prosciolto fu il fratello Ferdinando. Nel 1949 fu chiusa anche la pratica relativa all’avocazione dei profitti di regime.

Nel dopoguerra ricoprì solo alcuni incarichi nell’ambito delle competenze maturate nel settore agricolo: vicepresidente dell’Associazione produttori tabacchi italiani, vicepresidente di Confagricoltura, presidente dell’Ente nazionale addestramento e perfezionamento del personale agricolo e consigliere del Consorzio della media valle del Tevere. Alle elezioni politiche del 1963 si candidò al Senato nelle file del Movimento sociale italiano ma non fu eletto.

Morì a Roma il 22 maggio 1971.